sábado, 29 de novembro de 2008

“Signore, dacci speranza e accorri in aiuto della tua Chiesa”



O Santo Padre com as Primeiras Vésperas do I Domingo do Advento abre o novo Ano Litúrgico. Eis a sua homilia:

Cari fratelli e sorelle!

Con questa liturgia vespertina, iniziamo l’itinerario di un nuovo anno liturgico, entrando nel primo dei tempi che lo compongono: l’Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo usa proprio questa parola: “venuta”, che in greco è “parusia” e in latino “adventus” (1 Ts 5,23). Secondo la comune traduzione di questo testo, Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a conservarsi irreprensibili “per la venuta” del Signore. Ma nel testo originale si legge “nella venuta” (¦ν τ± παρουσί‘), quasi che l’avvento del Signore fosse, più che un punto futuro del tempo, un luogo spirituale in cui camminare già nel presente, durante l’attesa, e dentro il quale appunto essere custoditi perfettamente in ogni dimensione personale.

In effetti, è proprio questo che noi viviamo nella liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo il mistero – in questo caso la venuta del Signore – in modo tale da potere, per così dire, “camminare in essa” verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi, ma attingendone già la virtù santificatrice, dal momento che i tempi ultimi sono già iniziati con la morte e risurrezione di Cristo.

La parola che riassume questo particolare stato, in cui si attende qualcosa che deve manifestarsi, ma che al tempo stesso si intravede e si pregusta, è “speranza”.

L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, e in esso la Chiesa intera è chiamata a diventare speranza, per se stessa e per il mondo. Tutto l’organismo spirituale del Corpo mistico assume, per così dire, il “colore” della speranza.

Tutto il popolo di Dio si rimette in cammino attratto da questo mistero: che il nostro Dio è “il Dio che viene” e ci chiama ad andargli incontro. In che modo? Anzitutto in quella forma universale della speranza e dell’attesa che è la preghiera, che trova la sua espressione eminente nei Salmi, parole umane in cui Dio stesso ha posto e pone continuamente sulle labbra e nei cuori dei credenti l’invocazione della sua venuta. Soffermiamoci perciò qualche istante sui due Salmi che abbiamo pregato poco fa e che sono consecutivi anche nel Libro biblico: il 141 e il 142, secondo la numerazione ebraica.

“Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141,1-2).

Così inizia il primo salmo dei primi Vespri della prima settimana del Salterio: parole che all’inizio dell’Avvento acquistano un nuovo “colore”, perché lo Spirito Santo le fa risuonare in noi sempre nuovamente, nella Chiesa in cammino tra tempo di Dio e tempi degli uomini.

“Signore … accorri in mio aiuto” (v. 1). E’ il grido di una persona che si sente in grave pericolo, ma è anche il grido della Chiesa fra le molteplici insidie che la circondano, che minacciano la sua santità, quell’integrità irreprensibile di cui parla l’apostolo Paolo, che deve invece essere conservata per la venuta del Signore. E in questa invocazione risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana e della condizione dei poveri. All’inizio dell’Avvento la liturgia della Chiesa fa proprio nuovamente questo grido, e lo innalza a Dio “come incenso” (v. 2). L’offerta vespertina dell’incenso è infatti simbolo della preghiera, dell’effusione dei cuori rivolti al Dio, all’Altissimo, come pure “le mani alzate come sacrificio della sera” (v. 2).

Nella Chiesa non si offrono più sacrifici materiali, come avveniva anche nel tempio di Gerusalemme, ma si eleva l’offerta spirituale della preghiera, in unione a quella di Gesù Cristo, che è al tempo stesso Sacrificio e Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Nel grido del Corpo mistico, riconosciamo la voce stessa del Capo: il Figlio di Dio che ha preso su di sé le nostre prove e le nostre tentazioni, per donarci la grazia della sua vittoria.

Questa identificazione di Cristo con il Salmista è particolarmente evidente nel secondo Salmo (142). Qui, ogni parola, ogni invocazione fa pensare a Gesù nella passione, in particolare alla sua preghiera al Padre nel Getsemani. Nella sua prima venuta, con l’incarnazione, il Figlio di Dio ha voluto condividere pienamente la nostra condizione umana. Naturalmente non ha condiviso il peccato, ma per la nostra salvezza ne ha patito tutte le conseguenze. Pregando il Salmo 142, la Chiesa rivive ogni volta la grazia di questa com-passione, di questa “venuta” del Figlio di Dio nell’angoscia umana fino a toccarne il fondo. Il grido di speranza dell’Avvento esprime allora, fin dall’inizio e nel modo più forte, tutta la gravità del nostro stato, il nostro estremo bisogno di salvezza. Come dire: noi aspettiamo il Signore non alla stregua di una bella decorazione su un mondo già salvo, ma come unica via di liberazione da un pericolo mortale.

E noi sappiamo che Lui stesso, il Liberatore, ha dovuto patire e morire per farci uscire da questa prigione (cfr v. 8).

Insomma, questi due Salmi ci mettono al riparo da qualsiasi tentazione di evasione e di fuga dalla realtà; ci preservano da una falsa speranza, che forse vorrebbe entrare nell’Avvento e andare verso il Natale dimenticando la drammaticità della nostra esistenza personale e collettiva.In effetti, una speranza affidabile, non ingannevole, non può che essere una speranza “pasquale”, come ci ricorda ogni sabato sera il cantico della Lettera ai Filippesi, con il quale lodiamo Cristo incarnato, crocifisso, risorto e Signore universale. A Lui volgiamo lo sguardo e il cuore, in unione spirituale con la Vergine Maria, Nostra Signora dell’Avvento. Mettiamo la nostra mano nella sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità. Come Maria e con il suo materno aiuto, rendiamoci docili all’azione dello Spirito Santo, perché il Dio della pace ci santifichi pienamente, e la Chiesa diventi segno e strumento di speranza per tutti gli uomini. Amen!

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

terça-feira, 25 de novembro de 2008

O sentido do Pontificado de Bento XVI


Entrevista al Abad Michael John Zielinski, Vicepresidente de las Comisiones Pontificias de Arqueología Sacra y para el Patrimonio Cultural de la Iglesia, publicada en la revista italiana Radice Cristiani.

Hombre de profunda cultura y de notables dotes humanas, el abad Michael John Zielinski ha sido llamado poco más de un año atrás, directamente por voluntad del Santo Padre, al cargo de Vicepresidente de la Pontificia Comisión para el Patrimonio Cultural de la Iglesia y de Vicepresidente de la Pontificia Comisión de Arqueología Sacra. Americano de nacimiento pero de familia polaca, ingresó siendo muy joven en la orden de los Benedictinos Olivetanos y fue ordenado sacerdore en 1977 en Florencia. En diciembre de 2003 fue elegido abad de la abadía Nuestra Señora de Guadalupe en New Mexico (Estados Unidos), encargo que mantuvo hasta mayo de 2007. A él le hemos formulado algunas preguntas sobre el pontificado de Benedicto XVI.

Excelencia, a menudo se escucha decir que el Santo Padre Benedicto XVI está imprimiendo una transformación muy profunda en la vida de la Iglesia, lo que es muy criticado por algunos y alabado por otros. ¿Cuál es su opinión?
Son muchos los que consideran hoy que el Papa Benedicto XVI ha dado inicio a una reforma en el seno de la Iglesia. Su atención está dirigida, sin duda, al interior de la Iglesia y a su vida espiritual.
Está convencido de que todo decaimiento requiere una particular conversión del mundo, un retorno al Señor de parte del pueblo de Dios. El trabajo por la justicia y la paz requiere que el corazón de los católicos sea educado y formado en el conocimiento y en la práctica de la totalidad de la fe.
De hecho, ser un cristiano hoy quiere decir tener una percepción de la realidad radicalmente nueva. Quiere decir considerar la vida un don y corresponder donándose uno mismo a los otros. El conocimiento y la práctica verdadera de la totalidad de la fe, además de la realización de nuestros principios cristianos de caridad y unidad tal como lo pide el Magisterio de la Iglesia, es lo que hace del pueblo de Dios la sal de la tierra y la luz del mundo, creando una cultura de la vida y una civilización del amor.
El Papa es consciente de los problemas que se perfilan en el horizonte y conoce su complejidad. El tiempo pasa velozmente y por eso exhorta vivamente al pueblo de Dios y a los hombres de buena voluntad a dirigirse al Señor, a tener a Cristo como única prioridad de la vida.
La reforma espiritual que el Papa Benedicto XVI ha iniciado se funda en la verdad de que la íntima relación con Dios no se realiza en un amor exclusivamente afectivo, sentimental, sino que debe ser mucho más, debe crear un nuevo hombre en nosotros.
Vivir en la presencia de Dios transforma nuestras existencias, y el amor verdadero nos lleva a querer hacer la voluntad del Padre. Nuestro modo de ver el mundo y la realidad cotidiana se transforman, se convierten y realizan el mandamiento nuevo “ama al prójimo como a ti mismo”, una perspectiva que tiende a ayudar a los más débiles y desafortunados pero siempre en el nombre del Señor.
Es una perspectiva de fe capaz de reconocer al Hijo del hombre en el hermano y de proponer la esperanza en la Providencia divina. Así, si verdaderamente buscamos unirnos nosotros mismos a Cristo, el Espíritu Santo nos donará aquel conocimiento que supera todo otro conocimiento, aquella gracia que sólo Cristo puede donar al mundo, con el objetivo de la salvación de la humanidad.

Ciertamente, el Papa es bien consciente de los problemas que afligen al mundo moderno y de la crisis profunda de nuestra sociedad. Precisamente en la Misa de comienzo de su Pontificado habló de lo dramático del “desierto” exterior e interior en el cual vive el hombre de hoy. ¿Se puede trazar un balance después de tres años de Pontificado?
El Ministerio Petrino de Benedicto XVI se ubica en un momento muy complejo y difícil para la historia de la humanidad. El Papa ha denunciado, ya desde el comienzo de su pontificado, la secularización y la dictadura del relativismo.
También en la Europa cristiana podemos observar el poder laico convertirse en laicista, mientras intenta cancelar los fundamentos de la cultura misma del continente. Primero han buscado eliminar a Dios, que es imposible; ahora están buscado eliminar al hombre y esto, por desgracia, es posible.
En la actual “guerra cultural”, hay un intento de demoler y reescribir la historia: las reacciones y las distorsiones del discurso de Ratisbona son muy significativas al respecto. Pero quizás la cuestión debe ser puesta en otros términos: el hombre es un problema privado de soluciones humanas y sólo Dios puede salvarlo, y esto quiere decir también salvarlo de sí mismo. El mundo y la humanidad tienen, de hecho, necesidad de Dios, tienen necesidad de escuchar la verdad y de ver claramente el camino que conduce a la verdad.
Esta necesidad inalienable nos es dada por Aquel que es el Camino, la Verdad y la Vida. No quisiera exagerar diciendo que el Santo Padre está conduciendo a la Iglesia hacia un Catolicismo post-liberal. Él no sólo es consciente sino que representa él mismo la radical modernidad de Jesucristo.
Su magisterio es una gran meditación y una enseñanza del gran himno cristológico que se encuentra en la Carta a los Colosenses: “Todo fue creado por medio de él y para él. Él existe antes que todas las cosas y todo subsiste en él.” (Col. 1, 16-17).
Pero en lugar de buscar a Dios, el hombre moderno parece embriagado por los progresos de la ciencia y piensa que puede dejar de lado la dimensión sobrenatural de la vida. Nuestra época atribuye la grandeza del hombre a los descubrimientos científicos que han llevado a desarrollos tecnológicos sin comparación y considera que el progreso tiene como fin último el bienestar.
Este modo de juzgar la historia es evidente: la grandeza y el poder de Dios son ensombrecidos; la salvación espiritual del hombre no tiene sentido, todo se concentra en el bienestar y, para lograrlo, se deja de lado a Dios: más allá de las cosas materiales, nada existe para el hombre moderno.
Y así, la Iglesia se encuentra hoy con que debe hacer frente no sólo a los problemas que se derivan del ateísmo sino también a la indiferencia hacia lo sagrado. El contexto del mundo moderno refuerza ese deseo de autonomía y de individualismo que se ha infiltrado en el corazón del hombre: un desierto que termina convirtiéndose no sólo en un obstáculo para el encuentro con Dios sino también para la relación entre los hombres.
El hombre está contra el hombre. El alejar al hombre de lo sagrado con la ilusión de hacerlo “libre” y “autónomo” se ha vuelto contra el hombre mismo. Es necesario, entonces, volver a poner a Dios en el centro del universo y aumentar nuestra fidelidad al único Señor Omnipotente.

Si por un lado el Papa es muy firme e intransigente al condenar el error, por otro lado es recurrente en sus discursos el tema de la “caridad”. Pero para Benedicto XVI la caridad, en cuanto virtud teologal, no tiene sólo una incidencia sobre la vida espiritual de cada creyente sino que tiene también un aspecto social. ¿Nos puede explicar mejor lo que quiere decir el Papa?
La enseñanza de Benedicto XVI respecto a la caridad se detiene, a menudo, en su dimensión social. Él enseña que para realizar la “caridad social”, como él la define, en el mundo y para el mundo, es necesario adoptar lo que él llama “una forma de vida Eucarística”. Esto significa que aquel amor que redime, y que nosotros encontramos en la Eucaristía, debería transformar nuestros pensamientos, nuestras palabras y nuestras acciones, y debería asumir tal dimensión que diera una impronta cristiana a todo el orden social.
De parte de todo miembro de la Iglesia, sea laico o eclesiástico, debería estar lo que el Santo Padre llama “coherencia Eucarística”. Se trata de un tipo de amor y de comprensión que nuestras vidas están objetivamente llamadas a encarnar.
La adoración agradecida a Dios no puede nunca ser un hecho puramente privado y subjetivo, sin consecuencias en nuestra relación con los otros. De hecho, sólo la coherencia eucarística puede ofrecer aquella energía y aquella savia vital que incidirán en el contexto en el cual vivimos y repercutirán en la vida social. Por último, se trata de volver al Señor y de hacer de Cristo nuestra prioridad.

Fonte: Papa Ratzinger Blog
Tradução: La Buhardilla de Jerónimo

segunda-feira, 10 de novembro de 2008

CERIMÔNIA DE DEDICAÇÃO DE UMA IGREJA NA FORMA EXTRAORDINÁRIA DO RITO ROMANO

Como prometido domingo passado eis as fotos e o livrinho com a explicação da cerimônia (formato pdf e em inglês) da Dedicação de uma igreja no Rito Gregoriano.



Introduction to the Ceremony

Symbolically, the word "church" speaks not only of the building that houses the gathering of Christ’s Faithful, but also the gathering of the Faithful itself.

The liturgy of the Dedication in which we shall take part highlights this symbolism. During its successive stages, it will constantly refer to, and link, the visible building to the "City of the Living." The link will often be based on the evocation of Jerusalem, which is an archetype of the Church, and in which the first temple of God had been raised. This is why the psalms shall be sung all throughout the rites of purification and of "possession," as well as through the solemn transfer and burial of the martyrs’ relics, the consecration of the walls and of the altar with Sacred Chrism, and, at last, the celebration of Holy Mass. These psalms reflect ancient Israel’s love for the Holy City and the Temple, and at the same time raise our sight to the New Jerusalem, whose temple is the Lamb Himself (Apoc. 21,22)

Therefore the ceremony of the Dedication of a church is four-fold:

Firstly, the Lustration, or Washing of the Church (performed both outside and in, this ceremony purifies the church and prepares it for the consecration. The water, called "Gregorian," has been specially blessed for this occasion.)

Secondly, the Translocation and Deposition of the relics.

Thirdly, the Consecration (consecration of the Church by the unction on the twelve crosses, and the consecration of the altars.)

Finally, the Pontifical Mass in the newly consecrated Church.

It is good to bear in mind that the church symbolizes the Incarnate Word, the Mystical Body (presence of the relics) and that the ceremony renews the spiritual birth of every Christian life with baptism (Lustration), Confirmation (Chrismal Unction), and the Eucharist (Mass).

Fonte: ICRSS

domingo, 9 de novembro de 2008

PARTES MÓVEIS DA SANTA MISSA LATIM/PORTUGUÊS - 16 DE NOVEMBRO

Extende-se a Forma Extraordinária do Rito Romano

Dom Diógenes Silva Matthes celebrando no Rito Gregoriano em Franca-SP

Se extiende la introducción de la forma extraordinaria del rito de la misa
Se constata que esta liturgia exige también “un interés y una preparación extraordinaria"

CIUDAD DE MÉXICO, jueves, 6 noviembre 2008 (ZENIT.org).- Dos hechos recientes muestran que poco a poco la celebración del rito extraordinario de la Misa (según el Misal de Juan XXIII precedente al Concilio Vaticano II) está extendiéndose en la Iglesia, aunque sus promotores reconocen que esto exige ante todo un esfuerzo de formación entre sacerdotes y fieles (leia mais).


sábado, 8 de novembro de 2008

Hermenêutica da descontinuidade em Bolonha?


O título da postagem precedente faz perguntar sobre a existência de uma hermenêutica da ruptura em Bolonha.
Tal hermenêutica da ruptura se faz notar no Instituto de Bolonha, fundado por Pe. Giuseppe Dossetti e pelo professor Giuseppe Alberigo, de onde saiu a publicação “História do Concílio Vaticano II”. Una “História” que interpreta o Concílio mais como “evento” que por seus documentos, mais como “novo início” que como continuidade com a bimilenar história da Igreja.
Este modo de interpretar o Vaticano II tem sido corrigida pelo Papa Bento XII nas suas palavras e principalmente nos seus gestos. Isto se fez notar de modo especial no Discurso do Papa à Cúrio Romana de 22 de dezembro de 2005:

O último acontecimento deste ano, sobre o qual gostaria de me deter nesta ocasião, é a celebração do encerramento do Concílio Vaticano II, há quarenta anos. Tal memória suscita a interrogação: qual foi o resultado do Concílio? Foi recebido de modo correcto? O que, na recepção do Concílio, foi bom, o que foi insuficiente ou errado? O que ainda deve ser feito? Ninguém pode negar que, em vastas partes da Igreja, a recepção do Concílio teve lugar de modo bastante difícil, mesmo que não se deseje aplicar àquilo que aconteceu nestes anos a descrição que o grande Doutor da Igreja, São Basílio, faz da situação da Igreja depois do Concílio de Niceia: ele compara-a com uma batalha naval na escuridão da tempestade, dizendo entre outras coisas: "O grito rouco daqueles que, pela discórdia, se levantam uns contra os outros, os palavreados incompreensíveis e o ruído confuso dos clamores ininterruptos já encheram quase toda a Igreja falsificando, por excesso ou por defeito, a recta doutrina da fé..." (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; Sch 17 bis, pág. 524). Não queremos aplicar exactamente esta descrição dramática à situação do pós-Concílio, todavia alguma coisa do que aconteceu se reflecte nele. Surge a pergunta: por que a recepção do Concílio, em grandes partes da Igreja, até agora teve lugar de modo tão difícil? Pois bem, tudo depende da justa interpretação do Concílio ou como diríamos hoje da sua correcta hermenêutica, da justa chave de leitura e de aplicação. Os problemas da recepção derivaram do facto de que duas hermenêuticas contrárias se embateram e disputaram entre si. Uma causou confusão, a outra, silenciosamente mas de modo cada vez mais visível, produziu e produz frutos. Por um lado, existe uma interpretação que gostaria de definir "hermenêutica da descontinuidade e da ruptura"; não raro, ela pôde valer-se da simpatia dos mass media e também de uma parte da teologia moderna. Por outro lado, há a "hermenêutica da reforma", da renovação na continuidade do único sujeito-Igreja, que o Senhor nos concedeu; é um sujeito que cresce no tempo e se desenvolve, permanecendo porém sempre o mesmo, único sujeito do Povo de Deus a caminho. A hermenêutica da descontinuidade corre o risco de terminar numa ruptura entre a Igreja pré-conciliar e a Igreja pós-conciliar. Ela afirma que os textos do Concílio como tais ainda não seriam a verdadeira expressão do espírito do Concílio.

Seriam o resultado de compromissos em que, para alcançar a unanimidade, foi necessário arrastar atrás de si e confirmar muitas coisas antigas, já inúteis. Contudo, não é nestes compromissos que se revelaria o verdadeiro espírito do Concílio mas, ao contrário, nos impulsos rumo ao novo, subjacentes aos textos: somente eles representariam o verdadeiro espírito do Concílio, e partindo deles e em conformidade com eles, seria necessário progredir. Precisamente porque os textos reflectiriam apenas de modo imperfeito o verdadeiro espírito do Concílio e a sua novidade, seria preciso ir corajosamente para além dos textos, deixando espaço à novidade em que se expressaria a intenção mais profunda, embora ainda indistinta, do Concílio. Em síntese: seria necessário seguir não os textos do Concílio, mas o seu espírito. Deste modo, obviamente, permanece uma vasta margem para a pergunta sobre o modo como, então, se define este espírito e, por conseguinte, se concede espaço a toda a inconstância. Assim, porém, confunde-se na origem a natureza de um Concílio como tal. Deste modo, ele é considerado como uma espécie de Constituinte, que elimina uma constituição velha e cria outra nova. Mas a Constituinte tem necessidade de um mandante e, depois, de uma confirmação por parte do mandante, ou seja, do povo ao qual a constituição deve servir. Os Padres não tinham tal mandato e ninguém lhos tinha dado; ninguém, afinal, podia dá-lo porque a constituição essencial da Igreja vem do Senhor e nos foi dada para que pudéssemos chegar à vida eterna e, partindo desta perspectiva, conseguimos iluminar também a vida no tempo e o próprio tempo. Os Bispos, pelo Sacramento que receberam, são fiduciários do dom do Senhor. Somos "administradores dos mistérios de Deus" (1 Cor 4, 1); como tais devem ser encontrados "fiéis e sábios" (cf. Lc 12, 41-48). Isto significa que devem administrar o dom do Senhor de modo justo, para que não fiquem ocultos no esconderijo, para que tragam frutos e o Senhor, no final, possa dizer ao administrador: "Porque foste fiel no pouco, dar-te-ei autoridade no muito" (cf. Mt 25, 14-30; Lc 19, 11-27). Nestas parábolas evangélicas exprime-se a dinâmica da fidelidade, que interessa no serviço do Senhor, e nelas também se torna evidente, como num Concílio dinâmica e fidelidade devam tornar-se uma só coisa.

À hermenêutica da descontinuidade opõe-se a hermenêutica da reforma, como antes as apresentou o Papa João XXIII no seu discurso de abertura do Concílio em 11 de Outubro de 1962 e, posteriormente o Papa Paulo VI no discurso de encerramento a 7 de Dezembro de 1965. Desejo citar aqui somente as palavras tão conhecidas de João XXIII, nas quais esta hermenêutica é expressa inequivocavelmente quando diz que o Concílio "quer transmitir a doutrina pura e íntegra sem atenuações nem desvios" e continua: "O nosso dever não é somente guardar este tesouro precioso, como se nos preocupássemos unicamente pela antiguidade, mas dedicar-nos com diligente vontade e sem temor a esta obra, que a nossa época exige... É necessário que esta doutrina certa e imutável, que deve ser fielmente respeitada, seja aprofundada e apresentada de modo que corresponda às exigências do nosso tempo. De facto, uma coisa é o depósito da fé, isto é, as verdades contidas na nossa veneranda doutrina, e outra coisa é o modo com o qual elas são enunciadas, conservando nelas, porém, o mesmo sentido e o mesmo resultado" (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865). É claro que este cuidado de exprimir no modo novo uma determinada verdade exige uma nova reflexão sobre ela e uma nova relação vital com a mesma; é claro também que a nova palavra pode maturar somente se nasce de uma compreensão consciente da verdade expressa e que, por outro lado, a reflexão sobre a fé exige igualmente que se viva esta fé. Neste sentido o programa proposto pelo Papa João XXIII era extremamente exigente, como também é exigente e dinâmica a síntese de fidelidade. Porém, onde quer que esta interpretação tenha sido a orientação que guiou a recepção do Concílio, cresceu uma nova vida e amadureceram novos frutos. Quarenta anos depois do Concílio podemos realçar que o positivo é muito maior e mais vivo do que não podia parecer na agitação por volta do ano de 1968. Hoje vemos que a boa semente, mesmo desenvolvendo-se lentamente, cresce todavia, e cresce também assim a nossa profunda gratidão pela obra realizada pelo Concílio.

sexta-feira, 7 de novembro de 2008

Em Bolonha não mais a hermenêutica da ruptuara, mas a da continuidade!


A Bologna si celebra “l’ermeneutica della continuità”
Grande successo della Messa secondo il rito preconciliare
di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 5 novembre 2008 (ZENIT.org).- Il primo di novembre, a Bologna, a un anno dalla prima celebrazione dell’Eucaristia secondo il rito di San Pio V, precedente la riforma liturgica, il Cardinale Carlo Caffarra ha benedetto i fedeli che affollavano la chiesa di Santa Maria della Pietà (leia mais).

terça-feira, 4 de novembro de 2008

INSIDE THE VATICAN: A REFORMA DA REFORMA SEGUNDO DOM BURKE

Dom Burke, Prefeito do Tribunal Supremo da Signatura Apostólica, em entrevista à revista Inside the Vatican fala sobre a sua visão da reforma da reforma

Usted ha apoyado mucho a grupos en St Louis que deseaban hacer uso de Summorum Pontificum. Con la liberación de las restricciones en la celebración de la antigua Misa, ¿es probable que crezca el movimiento en favor de la tradición, y qué efectos es probable que esto tenga en cuanto a la reforma litúrgica?

El Papa Benedicto XVI ha hecho claras sus razones para la promulgación de Summorum Pontificum, entre las que está el enriquecimiento de la Forma Ordinaria del Rito latino por medio de la celebración de la Forma Extraordinaria. Tal enriquecimiento será algo natural, dado que la Forma Ordinaria se desarrolló orgánicamente de lo que es ahora la Forma Extraordinaria. Cuanto más lleguen los fieles a apreciar la Forma Extraordinaria, tanto más llegarán a comprender la profunda realidad de cada celebración de la Santa Misa, ya sea en la Forma Extraordinaria como en la Forma Ordinaria. Si entiendo al Santo Padre correctamente, con el tiempo, puede tener lugar una posterior reforma de la Sagrada Liturgia, que utilice más completamente la riqueza de la Forma Extraordinaria. La legislación dada en Summorum Pontificum, estoy convencido, fomentará grandemente la reforma litúrgica, que era la meta del Concilio Ecuménico Vaticano II.

Fonte: Inside the Vatican
Tradução: La Buhardilla de Jerónimo

sábado, 1 de novembro de 2008

Fotos do novo Altar sob a Cátedra de São Pedro no Vaticano


Todos os Santos

Oremus: Omnípotens sempitérne Deus, qui nos ómnium Sanctórum tuórum mérita sub una tribuísti celebritáte venerári: quaésumus: ut desiderátam nobis tuae propitiatiónis abundántiam, multiplicátis intercessóribus, largiáris. Per Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia saécula saeculórum. Amen.