sábado, 26 de fevereiro de 2011

Le domeniche prequaresimali nella tradizione bizantina



Dammi tu una parola o Parola del Padre

di MANUEL NIN

La prima delle domeniche si chiama del Fariseo e del pubblicano, dalla pericope di Luca, 18, 10-14. Nell'ufficiatura del mattutino, il canone di questa domenica è attribuito a Giuseppe di Nicomedia (IX secolo). Dall'inizio l'autore fa notare come le parabole di Cristo sono tutte un'esortazione del Signore stesso alla conversione: "Il Cristo, inducendo tutti con le sue parabole a correggere la propria vita, solleva il pubblicano dalla sua umiliazione, umiliando il fariseo che si era innalzato".

Cristo stesso è modello di umiltà nella sua incarnazione: "Perfetta via di elevazione ha reso il Verbo l'umiltà, umiliando se stesso sino ad assumere forma di servo. Sempre guidandoci alla divina elevazione, il Salvatore e Sovrano, come mezzo per elevarci, ci ha indicato l'umiltà: egli ha infatti lavato con le proprie mani i piedi dei discepoli". Tutto il testo liturgico è una esortazione all'umiltà presentata come la prima delle virtù con cui iniziare il periodo dei digiuni: "Vedendo che dall'umiliazione viene una ricompensa che eleva, mentre dall'innalzarsi, una tremenda caduta, emula quanto ha di bello il pubblicano e detesta la malizia farisaica. Dalla temerità vien svuotato ogni bene, mentre dall'umiltà vien purificato ogni male: abbracciamola dunque, o fedeli". Il canone è pervaso dal movimento tra l'alterigia che abbassa e l'umiltà che innalza: "L'umiltà ha sollevato il pubblicano che, mesto e confuso per i suoi peccati, gridava al Creatore il suo "Sii propizio". L'alterigia ha invece fatto decadere dalla giustizia lo sciagurato fariseo millantatore: emuliamo dunque il bene, astenendoci dal male. Imitiamo il pubblicano dunque, tutti noi che siamo caduti nelle profondità del male; gridiamo al Salvatore dal profondo del cuore".

La seconda delle domeniche prende il nome di domenica del Figliol prodigo, dalla pericope di Luca, 15, 11-32. Il canone del mattutino è attribuito a Giuseppe l'Innografo (+886). A partire dalla parabola del Figliol prodigo, il canone sottolinea la misericordia e l'amore di Dio che accoglie come padre il peccatore che ritorna a lui: "La divina ricchezza che un tempo mi avevi dato, l'ho malamente dissipata: mi sono allontanato da te, vivendo da dissoluto, o Padre pietoso: accogli dunque anche me convertito. Apri dunque le tue braccia paterne, e accogli anche me, Signore, come il figliol prodigo". Cristo stesso, in diverse strofe viene presentato come padre che accoglie nella misericordia: "Totalmente uscito da me stesso, accoglimi, o Cristo, come il figliol prodigo. Aprendo compassionevole le braccia, accoglimi, o Cristo, ora che torno dalla regione lontana del peccato e delle passioni".

La misericordia di Cristo viene elargita anche per le preghiere e l'intercessione dei santi per il peccatore: "Per le preghiere degli apostoli, o Signore, dei profeti, dei monaci, dei martiri venerabili e dei giusti, perdonami tutte le colpe con le quali ho mosso a sdegno la tua bontà, o Cristo: affinché a te io inneggi e a te io renda gloria per tutti i secoli". L'autore mette in un parallelo quasi contrastante la povertà di Cristo nel suo uscire dal seno paterno per la sua incarnazione, e quella del figliol prodigo nel suo allontanarsi dalla casa paterna: "Gemi dunque, infelicissima anima mia, e grida a Cristo: O tu che volontariamente per me ti sei fatto povero, arricchiscimi, Signore, ora che sono divenuto povero di ogni opera buona, con abbondanza di beni, perché tu solo sei buono e pieno di misericordia".

La terza delle domeniche si chiama del Giudizio finale, dalla pericope di Matteo, 25, 31-46. Le odi del mattutino sono composte da Teodoro Studita (IX secolo) e in modo molto insistente e ripetitivo mettono in evidenza da una parte l'immagine quasi paurosa del giorno del giudizio, e dall'altra la richiesta di misericordia e di perdono presso Dio: "Tremo pensando al giorno tremendo della tua arcana parusia, con timore già vedo questo giorno in cui ti siederai per giudicare i vivi e i morti, o mio Dio onnipotente. Quando verrai, o Dio, con miriadi e migliaia di celesti principati angelici, concedi anche a me infelice, o Cristo, di venirti incontro sulle nubi. Possa anch'io misero udire la tua voce desiderata che chiama i tuoi santi alla gioia".

La quarta delle domeniche invece viene chiamata dei Latticini, dal fatto che indica l'inizio del grande digiuno, con l'astinenza anche dei latticini. Si legge la pericope Matteo, 6, 14-21. Il canone del mattutino è un testo anonimo, e si sofferma nella contemplazione dell'espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso e del loro cammino di ritorno ad esso, cammino che diventa modello e immagine di quello quaresimale verso la Pasqua di Cristo. È sempre Adamo che parla in prima persona, piangendo il proprio peccato ed evocando le delizie del paradiso da cui è stato allontanato: "Su, misera anima mia, piangi ciò che hai fatto, ricordando oggi come nell'Eden ti sei lasciata spogliare e sei stata perciò cacciata dalle delizie e dalla gioia senza fine". Lungo il canone, l'Eden è sempre cantato come dono dell'amore e della condiscendenza di Dio verso l'uomo: "Per il tuo grande amore e la tua pietà, o Artefice del creato e Creatore di tutti, dalla polvere un tempo mi desti la vita, e poi mi comandasti di cantarti insieme ai tuoi angeli. Per la tua sovrabbondante bontà, o Artefice e Signore, tu pianti in Eden il delizioso paradiso, per farmi godere dei suoi frutti splendidi". Diverse delle odi personificano il paradiso che assieme ad Adamo piange con delle lacrime di pentimento, e il suono delle sue foglie diventa preghiera: "Prato beato, alberi da Dio piantati, soavità del paradiso, su di me dalle foglie, come da occhi, stillate lacrime perché sono nudo ed estraniato dalla gloria di Dio. Non ti vedo piú, non godo piú del tuo soavissimo e divino fulgore, o paradiso preziosissimo. Partecipa, o paradiso, al dolore del padrone divenuto povero, e col fruscio delle tue foglie supplica il Creatore che non mi chiuda fuori. O misericordioso, abbi misericordia di colui che ha prevaricato!". Infine, il testo si conclude con un parallelo tra l'Eden chiuso dopo il peccato di Adamo e il costato aperto di Cristo sulla croce: "Vedo il cherubino con la spada di fuoco che ha avuto l'ordine di custodire l'ingresso dell'Eden inaccessibile a tutti i trasgressori, ma tu, o Salvatore, togli per me ogni ostacolo. Confido nell'abbondanza della tua misericordia, o Cristo Salvatore, e nel sangue del tuo fianco divino, col quale hai santificato la natura dei mortali e hai aperto a quanti ti servono, o buono, le porte del paradiso, chiuse un tempo da Adamo". Tutto il testo è pervaso dalla piena fiducia nella misericordia divina: "Guida di sapienza, elargitore di prudenza, educatore degli stolti e protettore dei poveri, conferma, ammaestra il mio cuore, dammi tu una parola, o Parola del Padre, poiché, ecco, io non trattengo le mie labbra dal gridare: O misericordioso, abbi misericordia di colui che ha prevaricato!".

(©L'Osservatore Romano - 27 febbraio 2011)