Con la pazienza dell'amore
Viene presentato giovedì 4 dicembre a Bari il volume La riforma di Benedetto XVI (Casale Monferrato, Piemme, 2008, pagine 128, euro 12). Ne pubblichiamo le conclusioni.
di Nicola Bux
Sta nascendo un nuovo movimento liturgico che guarda alle liturgie di Benedetto XVI; non bastano le istruzioni preparate da esperti, ci vogliono liturgie esemplari che facciano incontrare Dio.
Solo degli spiriti volontariamente superficiali non se ne accorgerebbero. È un nuovo inizio che nasce dal profondo della liturgia proprio come il movimento liturgico del secolo scorso giunto al culmine col concilio.
La liturgia come luogo dell'incontro col Dio vivente, non uno show per rendere interessante la religione, non un museo di forme rituali grandiose. Il popolo di Dio celebra il nuovo rito con rispetto e solennità, ma resta disorientato dalle contraddizioni dei due estremi. La liturgia torna a essere azione ecclesiale, non di specialisti ed équipe liturgiche ma di padri e maestri che grazie alla conoscenza delle fonti vedevano la liturgia occidentale come frutto di uno sviluppo storico e quella orientale riflesso di quella eterna. Questi ultimi si opposero alla mistificazione della liturgia e conoscendo la storia ci hanno mostrato le forme molteplici del suo cammino. Di essi il Santo Padre raccoglie l'eredità e la fa fruttificare, ne ha esaudito l'auspicio che le forme antica e nuova del rito romano coesistessero una accanto all'altra come già avviene con l'ambrosiana e le orientali.
Fidiamoci di lui: egli porta pazientemente la saggezza dell'immaginazione cattolica nella vita della Chiesa odierna. Egli comprende bene quanto l'innovazione non sia ostile alla tradizione ma ne faccia parte come linfa dello Spirito Santo. Non è un conservatore e nemmeno un innovatore, ma un missionario "umile lavoratore della vigna del Signore". Nel libro Gesù di Nazaret egli mette in rilievo la "comprensione" che nel vangelo di Luca - a differenza dagli altri vangeli - Gesù dimostra nei confronti degli israeliti: "A me sembra particolarmente significativo - egli osserva - il modo in cui egli conclude la storia del vino nuovo e degli otri vecchi o nuovi. In Marco si legge: "Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi" (Marco 2, 22). In Matteo, 9, 17 il testo è simile. Luca ci tramanda la stessa conversazione, aggiungendo tuttavia alla fine: "Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: "Il vecchio è buono'" (5, 39) - un'aggiunta che forse è lecito interpretare come un'espressione di comprensione nei confronti di coloro che volevano restare "al vino vecchio" (pp. 216-217)". Non è applicabile questo apologo al dibattito tra usus antiquior e usus novus della messa, seguito al motu proprio?
La liturgia cristiana, come lo stesso avvenimento cristiano, non è fatta da noi. Un termine come attualizzazione ha ingenerato l'idea che noi avessimo le capacità per replicarlo, creare le condizioni giuste perché possa accadere, di organizzarlo, quasi fossimo creatori di ciò che affermiamo di credere. In realtà è Gesù Cristo che fa la sacra liturgia con lo Spirito Santo. A noi tocca seguire, fare spazio alla sua opera. Il metodo a portata di tutti è guardare a quello che accade - si usava dire "assistere" cioè ad-stare - stare davanti alla sua presenza; significa aderire a Qualcosa che viene prima, seguire quello che lui fa in mezzo a noi, capace sempre di capovolgere in un attimo l'idea che il culto sia fatto da noi. La liturgia è sacra e divina perché è una Cosa che viene dall'altro mondo.
Vorremmo aiutare a comprendere e a celebrare degnamente la liturgia come possibilità di incontro con la realtà di Dio e causa della moralità dell'uomo, a leggere le degradazioni sintomo di vuoto spirituale indicando la via per restaurarne lo spirito nel segno dell'unità della fede apostolica e cattolica, a promuovere un dibattito serio e un cammino educativo seguendo il pensiero e l'esempio del Papa che consenta di riprendere il movimento liturgico. Bisogna mirare allo spirito della liturgia come adorazione di Dio Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo e come pedagogia per entrare nel mistero ed esserne trasformati in moralità e santità. È un invito anche ai laici non credenti ma desiderosi del vero, perché nessuno è immune dal dubbio che forse esista Qualcun altro a cui dedicare il tempo! Su questo "forse", che la liturgia non svela del tutto, - per questo si chiede che venga preservato il senso del mistero e del sacro, - si instaurerà la comunicazione tra credenti e non o diversamente credenti.
Fidiamoci di lui: egli porta pazientemente la saggezza dell'immaginazione cattolica nella vita della Chiesa odierna. Egli comprende bene quanto l'innovazione non sia ostile alla tradizione ma ne faccia parte come linfa dello Spirito Santo. Non è un conservatore e nemmeno un innovatore, ma un missionario "umile lavoratore della vigna del Signore". Nel libro Gesù di Nazaret egli mette in rilievo la "comprensione" che nel vangelo di Luca - a differenza dagli altri vangeli - Gesù dimostra nei confronti degli israeliti: "A me sembra particolarmente significativo - egli osserva - il modo in cui egli conclude la storia del vino nuovo e degli otri vecchi o nuovi. In Marco si legge: "Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi" (Marco 2, 22). In Matteo, 9, 17 il testo è simile. Luca ci tramanda la stessa conversazione, aggiungendo tuttavia alla fine: "Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: "Il vecchio è buono'" (5, 39) - un'aggiunta che forse è lecito interpretare come un'espressione di comprensione nei confronti di coloro che volevano restare "al vino vecchio" (pp. 216-217)". Non è applicabile questo apologo al dibattito tra usus antiquior e usus novus della messa, seguito al motu proprio?
La liturgia cristiana, come lo stesso avvenimento cristiano, non è fatta da noi. Un termine come attualizzazione ha ingenerato l'idea che noi avessimo le capacità per replicarlo, creare le condizioni giuste perché possa accadere, di organizzarlo, quasi fossimo creatori di ciò che affermiamo di credere. In realtà è Gesù Cristo che fa la sacra liturgia con lo Spirito Santo. A noi tocca seguire, fare spazio alla sua opera. Il metodo a portata di tutti è guardare a quello che accade - si usava dire "assistere" cioè ad-stare - stare davanti alla sua presenza; significa aderire a Qualcosa che viene prima, seguire quello che lui fa in mezzo a noi, capace sempre di capovolgere in un attimo l'idea che il culto sia fatto da noi. La liturgia è sacra e divina perché è una Cosa che viene dall'altro mondo.
Vorremmo aiutare a comprendere e a celebrare degnamente la liturgia come possibilità di incontro con la realtà di Dio e causa della moralità dell'uomo, a leggere le degradazioni sintomo di vuoto spirituale indicando la via per restaurarne lo spirito nel segno dell'unità della fede apostolica e cattolica, a promuovere un dibattito serio e un cammino educativo seguendo il pensiero e l'esempio del Papa che consenta di riprendere il movimento liturgico. Bisogna mirare allo spirito della liturgia come adorazione di Dio Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo e come pedagogia per entrare nel mistero ed esserne trasformati in moralità e santità. È un invito anche ai laici non credenti ma desiderosi del vero, perché nessuno è immune dal dubbio che forse esista Qualcun altro a cui dedicare il tempo! Su questo "forse", che la liturgia non svela del tutto, - per questo si chiede che venga preservato il senso del mistero e del sacro, - si instaurerà la comunicazione tra credenti e non o diversamente credenti.
©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2008
Eis a recessão do livro feita por Andrea Tornielli:
“A reforma de Bento XVI”
Não é sempre fácil compreender, na selva das declarações polêmicas e das simplificações jornalísticas, qual seja a verdadeira mensagem que Bento XVI, com o seu exemplo antes mesmo que com sua palavra, pretende dar à Igreja no que concerne à celebração litúrgica. O retorno da cruz ao centro do altar, a recuparação de antigos paramentos e sobretudo a promulgação do motu proprio que em 2007 liberou o rito pré-conciliar estão no centro de debates e discussões, freqüentemente polarizados em campos opostos e não isentos de tonalidades extremistas. Por tudo isso é ocasião de receber como uma boa notícia a publicação do livro de Mons. Nicola Bux, “La riforma de Benedetto XVI (Pieme, pp 128, 12 euros, nas livrarias desde quarta-feira), um volume ágil e ao mesmo tempo denso e documentado, prefaciado por Vittorio Messori. Um livro que ajuda a “ler” os atos e iniciativas litúrgicas do pontificado ratzingeriano reportando-os ao seu significado mais profundo, sem o qual corre-se o risco de julgá-los como exterioridade nostálgica de uma parte, ou como vinganças restauradores de outra.
Bux, teólogo estimado pelo próprio Pontífice, perito em teologia e liturgia orientais, explica que “a natureza da sagrada liturgia é ser o tempo e o lugar em que seguramente Deus vai ao encontro do homem”, não “alguma coisa a ser construída por nós, algo de inventado para produzir uma experiência religiosa”, sendo ainda “o cantar com o coro das criaturas e o entrar na própria realidade cósmica”. Foi por perder de vista o seu profundo significado que deformou o movimento litúrgico pós-conciliar, “seja por obra de quem considerava sempre a novidade como a coisa melhor, seja por obra de quem desejava restaurar as coisas antigas como ótimas em todas as ocasiões”. A decisão do Papa de restituir plena cidadania à forma antiga do rito romano, explicando ao mesmo tempo que os dois missais não pertencem a dois ritos diversos, “é uma resposta a quantos, tradicionalistas e inovadores, haviam afirmado que o antigo rito romano tivesse morrido por ocasião da reforma litúrgica e um outro tivesse nascido em total descontinuidade: uma verdadeira e própria ruptura!”. Bux recorda que o Papa, na carta enviada aos bispos como acompanhamento do motu proprio, sugere (não obriga) que quantos celebram com o antigo missal, celebrem também com o novo: “Conseqüentemente, quem celebra segundo o uso antigo deve evitar deslegitimizar o outro uso”. Também porque seria paradoxal que a missa culminante com a eucaristia, sacramento da unidade e da paz, “acabe por tornar-se sinal de divisão, de discórdia”. A este propósito Mons. Bux observa que “serviram-se da liturgia, como bandeira de identidade, não apenas alguns grupos tradicionalistas para afirmar o fundamentalismo católico, como também não poucos progressistas para reinvindicar o autonomismo de marca protestante e não-global (vide as bandeiras da paz içadas sobre igrejas e diante de altares)”. Em suma, é necessária uma “reforma da reforma”, que ao contrário daquela pós-conciliar venha de baixo e não seja imposta pelos especialistas, porque “se a antiga liturgia era um afresco coberto, a nova arriscou perdê-lo pela técnica agressiva usada na restauração”. “A reforma litúrgica – escreve o teólogo – não é de fato perfeita e acabada: há necessidade de correções e integrações, procedendo entretanto de modo diferente da época pós-conciliar, não impondo obrigações senão aquelas necessárias, esclarecendo as possibilidades e promovendo o debate”. O escopo último da liturgia é o encontro com o mistério, a redescoberta de uma nova sensibilidade, um adequado espaço para o sagrado, para o silêncio, para a escuta, para evitar que a liturgia se transforme – como infelizmente sói acontecer – em “exibição de atores e inundação de palavras”.
“A reforma de Bento XVI”
Não é sempre fácil compreender, na selva das declarações polêmicas e das simplificações jornalísticas, qual seja a verdadeira mensagem que Bento XVI, com o seu exemplo antes mesmo que com sua palavra, pretende dar à Igreja no que concerne à celebração litúrgica. O retorno da cruz ao centro do altar, a recuparação de antigos paramentos e sobretudo a promulgação do motu proprio que em 2007 liberou o rito pré-conciliar estão no centro de debates e discussões, freqüentemente polarizados em campos opostos e não isentos de tonalidades extremistas. Por tudo isso é ocasião de receber como uma boa notícia a publicação do livro de Mons. Nicola Bux, “La riforma de Benedetto XVI (Pieme, pp 128, 12 euros, nas livrarias desde quarta-feira), um volume ágil e ao mesmo tempo denso e documentado, prefaciado por Vittorio Messori. Um livro que ajuda a “ler” os atos e iniciativas litúrgicas do pontificado ratzingeriano reportando-os ao seu significado mais profundo, sem o qual corre-se o risco de julgá-los como exterioridade nostálgica de uma parte, ou como vinganças restauradores de outra.
Bux, teólogo estimado pelo próprio Pontífice, perito em teologia e liturgia orientais, explica que “a natureza da sagrada liturgia é ser o tempo e o lugar em que seguramente Deus vai ao encontro do homem”, não “alguma coisa a ser construída por nós, algo de inventado para produzir uma experiência religiosa”, sendo ainda “o cantar com o coro das criaturas e o entrar na própria realidade cósmica”. Foi por perder de vista o seu profundo significado que deformou o movimento litúrgico pós-conciliar, “seja por obra de quem considerava sempre a novidade como a coisa melhor, seja por obra de quem desejava restaurar as coisas antigas como ótimas em todas as ocasiões”. A decisão do Papa de restituir plena cidadania à forma antiga do rito romano, explicando ao mesmo tempo que os dois missais não pertencem a dois ritos diversos, “é uma resposta a quantos, tradicionalistas e inovadores, haviam afirmado que o antigo rito romano tivesse morrido por ocasião da reforma litúrgica e um outro tivesse nascido em total descontinuidade: uma verdadeira e própria ruptura!”. Bux recorda que o Papa, na carta enviada aos bispos como acompanhamento do motu proprio, sugere (não obriga) que quantos celebram com o antigo missal, celebrem também com o novo: “Conseqüentemente, quem celebra segundo o uso antigo deve evitar deslegitimizar o outro uso”. Também porque seria paradoxal que a missa culminante com a eucaristia, sacramento da unidade e da paz, “acabe por tornar-se sinal de divisão, de discórdia”. A este propósito Mons. Bux observa que “serviram-se da liturgia, como bandeira de identidade, não apenas alguns grupos tradicionalistas para afirmar o fundamentalismo católico, como também não poucos progressistas para reinvindicar o autonomismo de marca protestante e não-global (vide as bandeiras da paz içadas sobre igrejas e diante de altares)”. Em suma, é necessária uma “reforma da reforma”, que ao contrário daquela pós-conciliar venha de baixo e não seja imposta pelos especialistas, porque “se a antiga liturgia era um afresco coberto, a nova arriscou perdê-lo pela técnica agressiva usada na restauração”. “A reforma litúrgica – escreve o teólogo – não é de fato perfeita e acabada: há necessidade de correções e integrações, procedendo entretanto de modo diferente da época pós-conciliar, não impondo obrigações senão aquelas necessárias, esclarecendo as possibilidades e promovendo o debate”. O escopo último da liturgia é o encontro com o mistério, a redescoberta de uma nova sensibilidade, um adequado espaço para o sagrado, para o silêncio, para a escuta, para evitar que a liturgia se transforme – como infelizmente sói acontecer – em “exibição de atores e inundação de palavras”.
Tradução: Oblatus